@article{Pancerz_2010, title={Hermeneutyka antropomorfizmów biblijnych u Dydyma Ślepego}, volume={55}, url={https://czasopisma.kul.pl/index.php/vp/article/view/4354}, DOI={10.31743/vp.4354}, abstractNote={<p>Uno dei scrittori del IV secolo, che si è inserito nella controversia antropomorfita sorta in quel secolo tra i monaci del deserto egiziano, è Didimo il Cieco d’Alessandria. Nel suo <em>Commento ai Salmi </em>troviamo due immediate menzioni del gruppo degli antropomorfiti e la confutazione del loro errore. L’Alessandrino rimprovera loro di riferire l’essere ad immagine di Dio (Gen 1, 26) al corpo umano, di capire gli antropomorfismi biblici su Dio letteralmente, e in conseguenza di credere che Dio veramente abbia membra umane e una forma esteriore. Commentando molti frammenti biblici che parlano di Dio in questo modo, Didimo spesso mette in rilievo la necessità di un’adeguata interpretazione di tali espressioni. Il fondamentale principio interpretativo – desunto peraltro dalla tradizione anteriore – è quello di intendere queste parole qeoprepîj, cioè in modo degno di Dio, adeguato alla natura di Dio. Il significato degli antropomorfismi non può essere quello suggerito immediatamente dalla lettera della Scrittura, ma deve essere strettamente sottoposto al concetto della realtà a cui essi si riferiscono. Si deve quindi tener conto che Dio è un essere immateriale, spirituale, invisibile, privo di forma e grandezza, incomposto, immutabile, non legato ad alcun posto e libero dalle passioni umane. Nella sua teoria ermeneutica Didimo sembra pure richiamare l’attenzione sulla regola dell’analogia della fede. Nell’interpretazione degli antropomorfismi trova un ampio uso il metodo allegorico, ciò che del resto è tipico per la scuola alessandrina. Così lo scrittore ricava dalle espressioni antropomorfiche della Scrittura diversi significati, non di rado molto profondi: „il volto” di Dio è per esempio il Figlio di Dio oppure la stessa esistenza di Dio, le sue idee o la sua salvezza; lo scrutare gli uomini attraverso „le palpebre” (Sal 10, 4) esprime la divina clemenza nel giudizio; „il grembo” e „il cuore” di Dio Padre, da cui è generato il Figlio, indicano la stessa sostanza del Padre; “le mani” di Dio significano le sue varie potenze (creatrice, punitiva, protettrice), poi i due Testamenti, e infine il Figlio e lo Spirito Santo – due mediatori del Padre nella creazione del mondo; “l’ira” di Dio indica un castigo o un travaglio mandati da Lui, oppure le potenze che fanno il servizio di punizione. Ovviamente in queste interpretazioni Didimo risente spesso della tradizione anteriore (Filone e Origene). Grazie alla presa di posizione contro l’antropomorfismo Didimo appare a noi come un teologo maturo che difende l’immaterialità e la trascendenza di Dio, sa interpretare saggiamente la Scrittura e riesce a ricavarne numerosi e validi contenuti teologici.</p>}, journal={Vox Patrum}, author={Pancerz, Roland Marcin}, year={2010}, month={Jul.}, pages={521–534} }